Correva l’anno 1992 quando la First Division andò in pensione dopo più di un secolo di onorata carriera per lasciare spazio alla neonata Premier League, formula più moderna e commerciale per veicolare lo stesso messaggio di passione e amore per il football. Prima e seconda edizione furono appannaggio del Manchester United di Ferguson, Diavoli Rossi determinati a far capire da subito a tutti chi era a comandare da allora in poi. Ma nella stagione 1994-95 venne mosso il primo, terribile e inaspettato scacco al nuovo ordine costituito: al termine di una cavalcata epica e ancora irripetuta nelle premesse e nelle dimensioni (i sostenitori del Leicester sono autorizzati a ogni tipo di scongiuro) ad alzare al cielo il trofeo fu il sorprendente Blackburn Rovers, finanziato da Jack Walker (signore dell’acciaio del Lancashire) e guidato in panchina da Kenny Dalglish. Una “banda armata” che sconvolse il campionato, con un ariete giovane e biondo nato in riva al fiume Tyne a sfondare lì davanti resistenze e porte avversarie. Il suo nome è Alan Shearer e la sua storia la conosciamo un po’ tutti: è la storia del simbolo più potente che la nuova Premier League potesse mai desiderare. La storia del più grande centravanti che l’Inghilterra abbia mai partorito.
Memorabile quell’annata lo fu per il piccolo Blackburn – isola felice tra i giganti – e per il giovane Alan, che chiuse la stagione con un bottino impressionante: 34 gol in 42 partite. Se lo United di Ferguson è unanimemente considerata la squadra più iconica e forte degli anni ‘90 inglesi, un discorso analogo a livello di singoli può essere fatto per Alan Shearer. Nessuno come lui ha saputo incarnare lo spirito della Premier League, sospesa tra la gloria popolare del passato e la voglia di affacciarsi su un futuro brillante. Nessuno come lui si è saputo porre così bene a cavallo fra due ere calcistiche e a dominare la scena con forza trascinante.
L’IMPORTANZA DI CHIAMARSI SHEARER
Dal padre, Shearer ha ereditato nome, cognome e senso di appartenenza alla città di Newcastle. L’altra faccia dell’Inghilterra, quella delle fabbriche fumanti e dei porti bagnati dalle gelide e inospitali acque del Mare del Nord. Una città stretta da due fiumi – il Tyne e il Wear – il cui scorrere regolare scandisce usi e costumi della gente locale. Quella che dopo un’intera giornata di duro lavoro si gode il tramonto del sole sul Tyneside, buttando un occhio ai ragazzini che tirano due calci a un pallone e inseguono il sogno di giocare un giorno al St. James’ Park per i Magpies.
Lo stesso sogno che ha segnato l’infanzia di Alan e che a un certo punto si è scontrato con l’ostilità del padre, il quale lo voleva convincere a giocare a golf per emulare i ragazzi di buona famiglia. Ci ha anche provato Alan a imborghesirsi con una mazza di ferro in mano, ma il richiamo del pallone e della strada era troppo forte. Il suo destino era già stato prenotato dagli dèi del calcio ed era quello di fare centro in una porta sostenuta da due pali e una traversa, non quello di riempire buche con una pallina. Al tranquillo anonimato del green Shearer ha ineluttabilmente preferito il boato assordante e confuso della curva da stadio.
E poi, ce lo vedete voi un figlio della working class, forte come un carro-armato, a perdere tempo e vitalità con un’anonima mazza di ferro in giro per un prato dall’erba rasata perfettamente?
La prima pagina del romanzo calcistico di Shearer ha però le tinte biancorosse del Southampton e non quelle bianconere a lungo sognate. Una curiosa anomalia che assume contorni quasi grotteschi se la porta chiusa in faccia all’epoca dal Newcastle a questo biondino appena sedicenne viene riaperta a posteriori, a storia già fatta. Anomalia superata in assurdità forse solo dal fatto che Shearer, per vari motivi e tendenzialmente sempre per sua scelta, non ha mai giocato per una big.
Comunque il giovane mostrò subito di che pasta fosse fatto nelle giovanili del Southampton e alla prima vera occasione da titolare con i grandi (lui, non ancora maggiorenne) dichiarò bellicosamente al mondo intero lo scopo della sua missione nella vita: segnare. Hat-trick contro l’Arsenal e record di più giovane calciatore del campionato inglese a realizzare una tripletta.
Please to meet you, sono Alan e ho tutte le intenzioni di diventare il migliore di sempre
La crescita di Shearer fu esponenziale e continua, tanto da attirare le attenzioni di mezza Inghilterra, a partire dal Manchester United. A spuntarla fu però l’ambizioso Blackburn, che sborsò una fortuna per portarlo nel Lancashire. Al giovane Alan evidentemente dovevano piacere molto le sfide in salita. Due stagioni di gol a ripetizione, di tante gioie e qualche dolore (un grave infortunio al ginocchio nel corso della prima stagione lo tolse dai giochi per molti mesi), prima della virata decisiva verso il successo nell’estate del 1994. Dopo un paio di campionati di vertice conclusi con un pugno di mosche in mano era giunta ormai l’ora dell’attacco definitivo al trono. Dal Norwich arrivò Chris Sutton, il partner d’attacco ideale per Alan. L’intesa tra i due era pazzesca, la chimica di coppia fece esplodere il banco: ad Ewood Park si stagliò all’orizzonte una furiosa tempesta di gol. Warning!!! La SaS era nata e coi Rovers non si scherzava più.
SaS è l’acronimo di Shearer and Sutton. Sembra il nome di una brigata sovversiva anni ‘70 e in effetti i risultati sono altrettanto drastici: rivoluzione in Premier e Blackburn Rovers campione d’Inghilterra
Solo nel 1996 – subito dopo un Europeo di casa giocato da protagonista – Shearer convolò finalmente a nozze con l’amore di una vita, il Newcastle. Il ragazzo cresciuto sulle gradinate del St. James’Park per sostenere Keegan e tutti gli altri beniamini in maglia bianconera, lo stesso che qualche anno prima era stato scartato dai dirigenti, coronò il sogno più bello. Giocare, segnare e dare tutto per il club di casa. Diventare idolo della propria gente indossando la maglia come una seconda pelle e onorandola fino all’ ultima goccia di sudore. A 26 anni, nella fase di massima espressione delle doti atletiche e tecniche di un calciatore e con una fila lunghissima di prestigiose pretendenti alle sue prestazioni, il migliore attaccante inglese in circolazione imboccò la strada più romantica al bivio tra il successo e la gloria.
Il sangue da versare sul cammino dell’eroismo
A conti fatti con il Newcastle Shearer non ha vinto nulla, fermandosi un paio di volte alle soglie del trionfo. Eppure è proprio lì che è entrato definitivamente nella leggenda della Premier e nel cuore di intere generazioni di tifosi Geordies. A parte i fiumi di gol, a parte il sudore lasciato sul campo, a parte i record, le prodezze e tutto il resto, c’è un episodio in particolare che restituisce la dimensione intoccabile, quasi ultraterrena, raggiunta da Shearer a Newcastle. Agli esordi della stagione 1999/00 l’allenatore di allora, Ruud Gullit, nutriva qualche riserva sul momento di forma del suo capitano e, anche per questo, optò per una sua clamorosa esclusione nel derby del Tyne-Wear contro l’odiato Sunderland. Scelta impopolare dagli esiti prevedibilmente catastrofici: il Newcastle perse il match, Gullitt la panchina. Della serie: se ti metti contro Shearer, il dio pagano della città, sei finito.
L’ARTE DEL CENTRAVANTI
Una delle migliori e più evidenti qualità di Shearer è stata, a mio avviso, la sua mirabile capacità di sintetizzare semplicità stilistica ed efficacia nelle giocate. Per questo è da molti considerato il modello perfetto del centravanti british. La naturalezza con cui era solito andare in gol era la genuinità con cui poi era solito festeggiare. La sua era una celebrazione spontanea di un momento gioioso più che un’esultanza identificante: quel braccio alzato al cielo ha segnato un’epoca, in un puro e incosciente gesto di normalizzazione di gesta sportive oggettivamente straordinarie. Shearer è stato il primo e, forse, ancora unico campione assoluto del calcio moderno a saper stare al passo coi tempi, pur comportandosi all’antica. Eroe in bianco(e)nero che ha influenzato almeno un paio di generazioni di tifosi e ha ispirato tanti apprendisti attaccanti, inglesi e non solo.
Qualcuno ha detto Harry Kane?
Riconoscibile e tendenzialmente vintage in tutto: nel modo di giocare, nel modo di stare in campo, nel modo di apparire. Sia che si trattasse di un calcio di punizione dalla rincorsa un po’ rozza ma mai artificiale, sia che si trattasse di un tiro potente dritto per dritto sotto la traversa, sia che si trattasse di un colpo di testa in tuffo a spaccare la rete. Sprigionava potenza da ogni millimetro di fibra Shearer, era istintivo e cattivo, letale e competitivo, rapido e diretto. Era un forte accentratore di scena, dominatore incontrastato dell’area di rigore, tiranno del gol. Eppure nonostante queste innate caratteristiche, Shearer sapeva dividere bene i ruoli con il proprio partner d’attacco e aveva quel pizzico di generosità indispensabile per lasciare spazio anche agli attori non protagonisti. Tre giocatori su tutti hanno in qualche modo beneficiato della sua presenza: il già citato Sutton in primis (che non raggiungerà mai più le vette di Blackburn nel resto della carriera), Teddy Sheringham in Nazionale e un prolifico Les Ferdinand con la maglia del Newcastle (49 gol in 2 nella stagione 1996-97).
379 SFUMATURE DI LEGGENDA
Se c’è qualcuno che non ha avuto la fortuna di poterselo godere appieno nei suoi anni migliori, nessuno può invece ignorare l’eredità lasciata da Shearer. I nostalgici della Premier meno mainstream e più calorosa degli anni ’90 lo rimpiangono; le nuove leve di appassionati di calcio inglese rispettano quel nome che leggono quasi sempre in alto, sopra tutti gli altri, nelle classifiche all-time diffuse dalla FA; i tifosi di Blackburn e Newcastle probabilmente si emozionano ancora al ricordo di quel numero 9 e un brivido di orgoglio misto a nostalgia li attraversa quando rivivono quei magici momenti.
Chi nella vita preferisce il bello all’utile, finisce certo, come il bimbo che preferisce le caramelle al pane, col rovinarsi lo stomaco e con guardare il mondo con molta tetraggine.
(Friedrich Nietzsche)
Alan Shearer è il miglior goleador della storia del Newcastle, con il quale ha messo a segno 206 gol. Alan Shearer è il miglior marcatore della storia della Premier League, con 260 gol complessivi. Alan Shearer è stato capocannoniere del campionato per 3 stagioni di fila e capocannoniere di Euro ’96 con la maglia dei 3 Leoni (questo il picco di un’esperienza complessivamente in chiaroscuro con la Nazionale). In totale ha realizzato 379 reti distribuite in 733 partite: sono i numeri impressionanti di una macchina da gol terrificante. Di uno che non poteva vantare l’estetica più raffinata; che non si esibiva in numeri da circo e non usava mai il fioretto; che ha una bacheca sostanzialmente vuota (amara constatazione che stona incredibilmente con il valore del calciatore e ci porta a riconsiderare il rapporto individuo-collettivo nel calcio). Di un attaccante comunque speciale nella sua ordinarietà, capace di concretizzare l’essenza senza mai scadere nella banalità.
Questa è la storia di Alan Shearer figlio e re di Newcastle: un uomo semplice che, dopo tutto, ha saputo piegare il destino al suo volere facendosi trovare degno e pronto all’appuntamento con l’eternità. Al diavolo i trofei e i riconoscimenti allora, Shearer è già leggenda perché ultimo baluardo di un calcio ancién regime perfettamente a suo agio nel nuovo mondo. Perché in fondo niente ha veramente un senso se quella benedetta rete bianca non si gonfia.
“Same old Shearer, always scoring”
NICOLA CICCHELLI