01 Febbraio 2016,ore 14.36

SPECIALE CP Gioventù bruciata?

Hazard

La parola crisi è un derivato latino del verbo greco crino, che significa distinguere, giudicare. Per operare una distinzione, per esprimere un giudizio occorre appunto fermarsi a riflettere, ragionare, fare una scelta (crisis). La crisi è quindi un momento importante: può rappresentare il sintomo di una stagnazione o l’inizio di una svolta. Ma, nonostante l’accezione ormai acquisita dal termine, non si tratta necessariamente di una situazione negativa. Viviamo in un tempo in cui si parla di crisi praticamente ogni 5 minuti, ovunque. Un abuso che, come tutti gli abusi, fa perdere importanza al concetto. Nello sport, per esempio, quando un atleta o una squadra va incontro a un periodo contrassegnato da brutte prestazioni e scarso rendimento si agita inevitabilmente e con disinvoltura lo spettro della crisi.

Così, se vogliamo continuare sulla falsariga del linguaggio comune che forma la retorica del calcio, non possiamo non dire che ci sono dei giovani calciatori, più di altri, in questa Premier League 2015/16 che stanno vivendo un’acuta fase critica. Stiamo parlando nello specifico di Memphis Depay, Aleksandar Mitrovic ed Eden Hazard, ossia attesi protagonisti alla vigilia della stagione e poco più che desaparecidos al giro di boa, pertanto da fischiare/sostituire/lasciare in panchina/maledire a seconda delle circostanze. Ma se invece vogliamo uscire un attimo dal circolo delle convenzioni e restituire un po’ di credibilità e di senso originale alle parole, allora possiamo dire che Depay, Mitrovic e Hazard possono essere addirittura contenti di vivere una profonda e salutare crisi che li può condurre a un punto di rottura e a una nuova consapevolezza di se stessi.

ADEGUARSI AL CONTESTO

Il problema di Memphis Depay è abbastanza palese: il ragazzo non si è ancora ambientato. Non ai ritmi frenetici del calcio inglese. Non alle pressioni di una piazza esigente come Manchester. Non al (discutibile) progetto tattico di van Gaal. Eppure proprio il guru olandese non ha badato a spese questa estate per portarlo alla sua corte. Un fenomeno del campionato olandese scelto personalmente da uno che col calcio olandese ha una certa dimestichezza. L’equazione sembrava perfetta, gli ingredienti per un cocktail esplosivo c’erano tutti, ma qualcosa è andato storto. Chissà, forse proprio il peso dei milioni spesi per lui ha fatto crollare le sicurezze del ragazzo o almeno quelli che si pensavano essere dati di fatto. Fatto sta che il  salto dall’allegra Eredivisie all’intensa Premier League si sta rivelando più lungo del previsto per l’ala orange che con la maglia del PSV ha fatto sfracelli la stagione scorsa: 22 gol in 30 presenze e titolo di capocannoniere, questo il biglietto da visita presentato da Depay al front office dell’Old Trafford. L’ultimo esterno con tali capacità realizzative è stato un certo Cristiano Ronaldo, devono aver sussurrato speranzosi nei pub di Manchester i tifosi dei Red Devils.

Ecco un saggio delle sue enormi potenzialità

E allora cosa è successo? Cosa è andato storto nel processo di inserimento di Depay nel Manchester United? Dove è finito quel giocatore capace di tante giocate risolutive, dai calci da fermo al dribbling partendo dall’esterno, dai tagli in area di rigore al tiro da fuori, il tutto condensato in un fisico robusto e scattante (176 cm per 78 kg)?  Dopo un impatto con la nuova realtà abbastanza positivo (il picco raggiunto con la doppietta in Champions contro il Brugge), Depay si è inceppato e si è gradualmente spento insieme al resto della squadra. La relativa sfortuna di trovarsi in una delle versioni peggiori del Manchester United mai viste giustifica poco i suoi demeriti: Memphis è un giocatore monodimensionale che non ha saputo finora offrire nulla per cambiare le cose e risvegliare la squadra dal torpore in cui è caduta. Se da lui i tifosi si aspettavano imprevedibilità e accelerazioni, allora di sicuro non possono dirsi contenti del rendimento del ragazzo, che finora è apparso sbiadito e pigro, ingabbiato dallo sterile possesso palla imposto da van Gaal. La sua scarsa incisività all’interno della partita è ben testimoniata dai numeri: prima di perdere il posto da titolare, ha collezionato 23 presenze in tutte le competizioni, ha messo a segno 4 gol, con una media di 2.2 tiri a partita e pochi dribbling riusciti (1.2 a partita). Alla voce assist un desolante 0.

Questo il tentativo di spiegare la mancata evoluzione di Depay da un punto di vista tecnico-tattico. Se poi vogliamo essere meno ortodossi e sconfinare nel campo minato della scaramanzia e del folklore potremmo dire che Depay sta semplicemente alimentando la “maledizione del 7” dopo CR7: quella strana nuvola fantozziana che segue i movimenti di tutti i calciatori che hanno indossato Quella Maglia Rossa dopo il fuoriclasse portoghese (e dopo tutti quelli venuti prima). Owen era ormai sul viale del tramonto quando è arrivato a Manchester e da lui in fondo non si poteva pretendere più di tanto; Antonio Valencia non aveva il pedigree per indossare quel numero, tanto è vero che lo ha mollato subito per tornare a un più anonimo 25; Di Maria sembrava quello giusto e invece sappiamo tutti come è andata a finire. Quale sarà allora il destino di Memphis Depay? Cosa può dare in futuro? Magari con un altro allenatore e nuovi stimoli (e un altro numero sulle spalle?) può trovare la sua dimensione e cominciare a fare quel tanto di buono di cui è capace. Il ragazzo ha mezzi importantissimi, condannarlo dopo una prima stagione deludente sarebbe un vero peccato. Nella scia della fiorente tradizione di esterni/mezze punte olandesi, Depay un posto lo merita sicuramente. Solo che ancora non se ne è accorto.

OLTRE LE APPARENZE

Aleksandar Mitrovic è un giovane attaccante cresciuto calcisticamente nel Partizan Belgrado e trasferitosi in estate dall’Anderlecht al Newcastle, dopo aver vinto la classifica marcatori della Jupiler League (e il campionato). I Magpies hanno dovuto sborsare la bellezza di 18 milioni di euro per strapparlo alla nutrita concorrenza (si parlava per lui anche di Roma). Uno dei prospetti più interessanti sfornati recentemente dal sempreverde calcio slavo, il centravanti serbo ha mantenuto – prima di approdare in Premier – una media realizzativa vicina al gol ogni 2 partite. L’hype attorno al suo nome era quindi giustamente abbastanza alto, ma si è andato man mano sgonfiando insieme all’entusiasmo iniziale dei tifosi del Newcastle. In primis perché Mitrovic sta segnando poco (4 gol) e sbagliando tanto (curioso il dato negativo dei controlli sbagliati a partita: 2.7 di media); poi soprattutto perché – volendo soprassedere per un attimo sull’argomento gol, magari concedendogli come attenuante la scarsa attitudine offensiva del Newcastle operaio targato McClaren – il ragazzone serbo non sembra ancora aver capito bene dove si trova e come giocare. La sua esperienza in Premier League finora è metaforicamente quella di un ragazzo forte e robusto che, trovandosi davanti a un muro, prova a buttarlo giù a spallate. Lotta, corre e si impegna, ma fa fatica ad andare oltre tutto questo. Dopo un avvio focoso segnato prevalentemente da falli e cartellini sventolati in faccia, Aleksandar ha trovato almeno un po’ di calma e, a sprazzi, ha fatto intravedere anche parte del suo potenziale.

Nella partita casalinga contro il Norwich un concentrato del Mitrovic versione geordie: quello che è e quello che potrebbe essere. Da notare anche l’eloquente esultanza rabbiosa/gioiosa dopo il bel gol alla Bobo Vieri

Mitrovic deve capire che l’abito non fa il monaco e che essere un bad boy non sempre paga dividendi. Prima smetterà di vivere il paradosso di chi vuole essere Ibra e si ritrova invece a somigliare di più a Balotelli meglio sarà per lui e per la sua squadra, che ha bisogno di un altro giocatore nel prosieguo di stagione per raggiungere la salvezza. Dopo la bella prestazione offerta contro il Manchester United qualche settimana fa ha detto che sta migliorando partita dopo partita e ha ammesso che la Premier è un torneo molto più duro rispetto a quello belga, confidando di essersi messo alle spalle il difficile periodo di adattamento e mostrando una certa maturità nelle dichiarazioni che lascia ben sperare. Ha anche elogiato apertamente Wayne Rooney (“Spero un giorno di essere come lui e che i giovani calciatori saranno fieri di giocare contro di me”) facendo un deciso passo avanti quantomeno a livello di modelli da seguire.

RAGGIUNGERE IL TOP

“Dopo di loro (Messi e Ronaldo ndr) non vedo nessuno migliore di Hazard. E’ un ragazzo di 24 anni che gioca in un paese dove non c’è la cultura del miglior giocatore del mondo. Se fosse stato in un altro paese, lo avrebbero collocato tra i migliori con Ronaldo e Messi.”

Parole e musica di Jose Mourinho. E non risalenti a epoche fa, ma solo a maggio scorso. Oggi Mourinho non è più l’allenatore del Chelsea e Hazard non è più Hazard.

Il folletto belga è in preda a una crisi d’identità per la quale non si scorgono vie d’uscita. Il picco raggiunto l’anno scorso – MVP della stagione – doveva essere il trampolino definitivo per il lancio nell’orbita dei campioni assoluti. L’ultimo step di un processo di crescita iniziato ai tempi del Lille e proseguito a ritmi insostenibili per gli avversari (e anche per lui?) al Chelsea. E invece dell’ultimo step è arrivato il primo stop per Eden Hazard, lontano parente del fuoriclasse che ha incantato il mondo intero negli ultimi anni. Al belga finora non è affatto riuscito quello che sta riuscendo a Steph Curry nella NBA: raggiungere la vetta e non solo avere la forza di restarci, ma anche la voglia di esplorarla. I complimenti di Mou di inizio stagione sono sfumati prima in frecciatine e poi, a situazione generale ormai irrecuperabile, si sono trasformati in accuse reciproche e rottura. Impietosi i numeri del belga finora: in 26 presenze accumulate in stagione un solo gol (quello fresco di ieri su rigore a risultato ampiamente acquisito contro il MK Dons), ha servito solo 4 assist (l’ultimo sempre ieri) e ha tirato in porta pochissimo (1.3 a partita). Hazard cerca poco la conclusione a rete, quasi mai da fuori area. La sua giocata tipica a convergere verso l’interno e calciare in porta è ormai solo un ricordo. Il numero 10 sembra un giocatore fortemente depotenziato, quasi scarico emotivamente e restio a reinventarsi. L’ultima partita da titolare in campionato risale al 28 dicembre contro il Manchester United, segno che il credito di fiducia e pazienza nei suoi confronti è in fase di esaurimento e che non era solo una questione personale col vecchio manager a bloccarne il rendimento.

Ci ha provato anche Yaya Toure a scuoterlo…

Quali sono i motivi dell’involuzione di Hazard? L’enorme talento messo in vetrina fino a pochi mesi fa non può essere andato disperso, tant’è vero che sul belga restano vigili gli occhi dei top club europei (si è parlato a più riprese di PSG e Real Madrid). Forse ciò che lo sta tradendo è un carattere fragile, che non gli consente di ribellarsi allo status quo e di affermare la sua forza. Quando le cose andavano bene per tutti, lui era la stella indiscussa, ma un campione vero deve sapere emergere soprattutto in contesti difficili. La pressione esterna e la voglia, in parte impostagli, di diventare il migliore lo stanno schiacciando. Anche da un punto di vista tecnico Hazard è diventato un giocatore estremamente prevedibile: i ruvidi difensori della Premier ormai lo conoscono e non lo lasciano respirare.

Ma Eden Hazard ha dalla sua il merito e allo stesso tempo il difetto di averci già mostrato la faccia più bella della medaglia. Si tratta solo di saperla rovesciare una volta per tutte. E nei suoi confronti in particolare, ma anche verso i rookies Depay e Mitrovic, noi osservatori esterni abbiamo sì il diritto di essere critici, ma anche il dovere morale di essere ottimisti. E sperare che una volta finita la crisi intesa come fase di riflessione, questi giovani aspiranti campioni si rimettano in viaggio sul sentiero giusto: quello che porta dritti alla realizzazione completa delle proprie virtù.

 

Nicola Cicchelli