14 Gennaio 2017,ore 10.00

Nostalgia 2000, attaccante: Thierry Henry

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Riprendendo le parole dette dall’ex campione brasiliano Ronaldo, ci sono calciatori che hanno il talento nel sangue, e altri che “si fanno”, si costruiscono in modo da diventare i più forti. Il suo riferimento era, ovviamente, a Lionel Messi e Cristiano Ronaldo.

Ma nella prima categoria, quella dei fenomeni predestinati, c’è di sicuro Thierry Henry.

Nato a Les Ulis nel 1977, stregò gli osservatori del Monaco nel 1990, convincendoli ad ingaggiarlo nel settore giovanile dei monegaschi senza dover sottoporlo ai provini del club, e in Wenger trovò un vero e proprio estimatore, facendolo debuttare 4 anni dopo come ala sinistra. Negli anni successivi il talento del ragazzo cresce, anche come punta centrale, fino al gennaio del 1999, quando la Juventus lo ingaggia per fargli prendere il posto di Del Piero, infortunato. La sua esperienza in Italia è fallimentare, con poco spazio e poche reti, così appena 6 mesi dopo arrivò la chiamata dell’Arsenal, con il neo allenatore Wenger voglioso di riabbracciarlo.

A Londra diventa il campione che abbiamo imparato ad apprezzare: un attaccante quasi completo, micidiale quando partiva da sinistra grazie alla velocità e l’abilità nel dribbling, ma anche al centro dell’attacco riusciva a esprimere il meglio di sé, partendo sul filo di fuorigioco e bruciando in velocità le difese avversarie. Oltre al killer instinct aveva una predilezione per l’assist, con ben 67 passaggi decisivi solo nella sua esperienza all’Emirates Stadium. Peccava solo nel gioco aereo, mancanza compensata in parte dal fatto che spesso i calci piazzati erano a suo carico.

 

Questo non sarà di sicuro uno dei gol più belli di Thierry Henry, ma è comunque molto importante: 12 gennaio 2003, è la sua centesima marcatura con i colori dei Gunners

 

Il suo idilliaco rapporto con Wenger, però, lo spinse a lasciare Londra: era il 2007, e si vociferava che il tecnico francese non sarebbe stato confermato sulla panchina dei Gunners. Su Titì arrivò il Barcellona, che lo comprò per 24 milioni di euro. Solo pochi giorni dopo il ruolo del suo mentore fu confermato.

In blaugrana riuscì a ripetere le sue meraviglie, formando con Eto’o e Messi un tridente senza uguali in Europa e vincendo la Champions League nel 2009. 121 presenze e 49 reti in Spagna, fino alla consacrazione di un altro dei fenomeni della cantera, Pedro Rodriguez, e il progressivo cambio generazionale che lo fece svernare, nel 2010, in MLS al New York Red Bull.

Pochi mesi, però prima del suo ritorno all’Arsenal, in prestito, nel gennaio del 2011, suscitando grandissima gioia nei suoi vecchi tifosi. Al suo nuovo debutto trova la rete, contro il Leeds, e segna il secondo (e ultimo della sua seconda esperienza londinese) all’ultima giornata contro il Sunderland, a tempo scaduto, regalando ai suoi la vittoria. Poi ci sarà il ritorno in America e, nel dicembre del 2014, il ritiro dal calcio giocato.

 

Tra le sue finte più curiose c’è il passaggio auto deviato: colpisce la palla con il piede d’appoggio prima di colpirla con il destro. In alcune occasioni, addirittura, si è deviato da solo il passaggio con la gamba d’appoggio per consegnare la palla ad un compagno

 

Adesso è il secondo di Roberto Martinez sulla panchina della Nazionale Belga, squadra che ha vissuto una grandissima crescita negli ultimi anni, con l’obiettivo di portarla in alto, proprio come fece con la sua Francia: 51 reti in 124 apparizioni con i Bleus, con un Mondiale e un Europeo consecutivi (1998 e 2000), più la finale in Germania del 2006 contro l’Italia e il famosissimo episodio del controllo di mano nello spareggio con l’Irlanda per i Mondiali del 2010.

Molti alti e pochissimi bassi per un giocatore per cui ancora in Francia cercano un sostituto degno: anni fa ci provarono con Monnet-Paquet, ora Martial sembra sulla buona strada, e nel frattempo nel Principato di Monaco sta crescendo Mbappe-Lottin

 

RUGGERO ROGASI

Twitter @RuggeroRogasi