19 Aprile 2016,ore 9.52

L’UOMO DEL MOMENTO: James Milner, il guerriero di Anfield

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Potesse, spaccherebbe il mondo. Ma con leggerezza ed autorità. Dietro a quella faccia ruvida, apparentemente cattiva, c’è un uomo dai piedi dolci e delicati. Non fatevi ingannare dall’apparenza, James Milner non è solo corsa: certo, è servita una prova da “maratoneta” di Brozovic per togliere all’inglese il primato di km percorsi in una singola partita in stagione, ma il muscoloso adepto di Klopp, l’allenatore che gli sta facendo scoprire una nuova giovinezza alla soglia dei trent’anni, ha una tecnica da fare invidia a mezza Premier League. Roccioso in mezzo al campo, da Klopp a Pellegrini, tutti a favore del “partito-Milner”, che se potesse vincerebbe le elezioni. “E’ una macchina: ha tutto“, ha esclamato il tedesco, anticipato dall’argentino, che disse di lui: “Sono il suo fan numero uno. Trovatemi un giocatore inglese più completo di lui. Ci sono giocatori che sono migliori dal punto di vista tecnico, più veloci o più bravi di testa. Ma trovatemene uno capace di fare tutte queste cose bene. Non c’è uno come James: lui è un fenomeno, un ragazzo dal cuore grande e con due palle così“.

Nato esterno sinistro, passato a destra ed adesso interprete di tutti i ruoli di centrocampo. Ma soprattutto, cresciuto a Leeds, patria di Malcom Mcdowell, attore di Arancia Meccanica, film distopico che racconta di una società giovanile estremamente violenta: se ne tira fuori, in un certo senso, il nostro James, da sempre avverso all’alcol ed alla malavita, poichè “se voglio arrivare al mio scopo, diventare qualcuno, non devo toccare alcol e simili”. Questo il suo pensiero, chiaro, diretto verso il suo obiettivo, in campo come nella vita. E’ da qui che parte la storia di Milner, ragazzino cresciuto nella pullulante adolescenza inglese: a dieci anni, dopo essersi messo in risalto in vari sport, sceglie il calcio. E’ il 1996 e, mentre io nascevo, James, Giacomo in inglese, sarà un caso, entra nell’Academy della squadra della sua città, con la quale esordisce a sedici anni nel 2002, nella partita contro il West Ham, che lo incorona come il più giovane esordiente in Premier League (verrà battuto qualche anno più tardi). Un mese dopo arrivano anche i gol: prima segna al Sunderland, poi si ripete con una prodezza contro il Chelsea, venendo incoronato da tutta l’Inghilterra. I paragoni con Rooney ed Owen, divenuti famosi già in tenera età, si sprecano, ma il Leeds decide comunque di mandarlo in prestito, per un solo mese, in Football League One, la terza serie del calcio inglese, dove lo Swindon accoglie il giovane Milner in rampa di lancio. Una scelta, quella degli Whites, che non viene però criticata dal ragazzo. L’umiltà e la semplicità, le vere sorgenti della bellezza, del sedicenne James. Il ritorno al Leeds coincide con la crisi della sua squadra del cuore, che lo venderà a fine stagione, non al Tottenham, che si era fatto avanti, ma bensì al Newcastle: molto più vicino a casa. “Lascio il club solo perchè così posso aiutarlo”, spiega Milner, che nei Magpies troverà l’intralcio ai suoi sogni adolescenziali: repentini cambi in panchina e poca continuità, uniti ad una scarsa stabilità ed al cattivo ambiente che si era creato nell’esigente squadra, fanno si che gli anni in bianconero siano un vero e proprio calvario. L’Aston Villa lo aspetta in prestito e lì James si conferma un portento: sembra tutto fatto per una sua riconferma a Birmingham, ma il neo allenatore del Newcastle, Glenn Roeder, è convinto delle sue potenzialità e se lo riprende: la stella in rampa di lancio del calcio inglese non riesce a brillare e chiede la cessione. Dai paragoni con Owen si passa a quelli con coloro che non ce l’hanno fatta. Ma i 15 milioni versati dall’Aston Villa nelle casse dei Magpies lo riportano lì dove aveva fatto vedere di essere quantomeno un buon giocatore. Due anni, la continuità e l’incetta di premi, come quelli di miglior giovane della Premier, raggiungendo due sesti posti in campionato ed una finale di League Cup persa. Arriva il Manchester City degli sceicchi e trenta milioni di euro portano Milner nei Citizens. Nel frattempo raggiunge la Nazionale, ma come il buon vino, migliora invecchiando: cinque trofei in cinque stagioni, da Mancini a Pellegrini, con quel campionato vinto all’ultimo respiro, senza più secondi disponibili: il fato ha spinto quel pallone dentro e la parte blu di Manchester poteva esultare.

In estate, il momento di cambiare aria: ad attenderlo è il Liverpool, dove strappa la fascia da capitano ad Henderson, diventando uno dei pilastri di Klopp. E’ onnipresente: spesso percorre 13 km a partita, un mostro. Batte tutto, dagli angoli alle punizioni: la critica si divide, “fa sempre la scelta giusta“, gridano alcuni, “non ha tecnica, Klopp dovrebbe aggiustargli i piedi“, sentenziano altri. Resta il fatto che dal suo destro sono nati i gol della rimonta contro il Borussia Dortmund: prima la palla per Sakho, poi per l’azione che ha portato al gol Lovren. Ha avuto ragione lui, sconfiggendo il pregiudizio del “medianaccio” che lo ha accompagnato in carriera: difende Anfield di corsa, con lo scudo e con l’intelligenza, ma soprattutto con il cuore, rosso come il Liverpool, virtù mai banale per gli inglesi. E’ lui il guerriero della Kop.

 

GIACOMO BRUNETTI

Twitter: giacomobrun24

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